La Storia di san Gregorio al Celio
Gregorio, della nobile famiglia dei Petroni Anici, dopo aver raggiunto la più alta carica civile in Roma di Praefectus Urbis, intorno al 575 lasciò la carica e si fece monaco a seguito di una conversione sofferta e meditata. Iniziò allora la trasformazione della casa paterna in cenobio. L’opera richiese tempo e notevoli modificazioni alla domus patricia. Nacque prima il monastero, per ospitarvi i primi monaci che si raccoglievano attorno a Gregorio e che utilizzavano il preesistente Oratorio di S. Andrea per i momenti di preghiera anche notturni, contemplati dalle regole ispirate molto probabilmente alla Regola di S. Benedetto (considerato che Gregorio fu il primo biografo del santo monaco). Presso l’Oratorio di S. Andrea c’era, e c’è ancora, un triclinium (ambiente tipico delle case patrizie romane) nel quale, secondo la tradizione S. Gregorio era solito invitare alla sua mensa 12 poveri. Per cui in seguito fu chiamato triclinium pauperum. Qui vicino si trovava l’antico fons mirabilis immo saluberrimus, dove secondo S. Pier Damiani, il santo soleva dissetarsi (oggi nel giardino a fianco della Cappella Salviati). Altro ambiente originario del VI secolo ed ancora oggi esistente (in fondo alla navata destra della chiesa) è il cosiddetto “lettuccio di S. Gregorio”, un piccolo ambiente dove egli era solito riposare disteso su una pietra. Un dipinto secentesco lo mostra in questa giacitura in abiti pontificali. L’ambiente, a seguito dei restauri settecenteschi fu trasformato in un’elegante celletta ed il giaciglio, quale preziosa reliquia, fu reso inaccessibile da una grata. La chiesa, che sembra sia stata costruita dopo la sua elezione al soglio pontificio (590), fu consacrata solennemente nel 595 e intitolata a S. Andrea. In essa quattro altari: il maggiore ospitava la sacra reliquia del braccio del Santo, ricevuta in dono durante il suo periodo di legato papale a Costantinopoli. Da questo monastero Gregorio, una volta divenuto papa, nell’ambito di un grande progetto di evangelizzazione dell’Europa, inviò Agostino (S. Agostino di Canterbury) con un manipolo di una quarantina di monaci presso i Britanni, alla corte del re del Kent.
La dedicazione a Sant’Andrea apostolo risulta fino dai primi documenti medievali, quando, dopo il 1000, appare dedicata a S. Gregorii Magni ad Clivum Scauri. Ma solo nel 1300, all’epoca di papa Bonifacio VIII, vi fu dedicato un altare a S. Gregorio Magno. Il termine «ad Clivum Scauri» è dovuto al fatto che l’antico Oratorio di S. Andrea aveva la fronte lungo la principale strada di accesso, che corre, ancora oggi con lo stesso nome, sull'antica pendenza (clivus in latino) dell’avvallamento tra il Palatino e il Celio. La chiesa diveniva la Domus orationis assai più facilmente raggiungibile dai dormitori ubicati sulla sua destra per la preghiera comunitaria diurna e notturna. Una fonte cinquecentesca ipotizza che l’area dove S. Gregorio fece costruire la chiesa fosse l’atrio della sua villa romana di cui furono riutilizzate le colonne. Il perimetro originario, nonostante i diversi restauri nel corso di oltre un millennio deve essere rimasto pressoché invariato. Anche il monastero, nonostante trasformazioni ed ampliamenti subiti nel tempo, è ancora quello ubicato alla destra della chiesa, anticamente a 2 piani con un chiostro al centro: il refettorio ed il chiostro interno con la cisterna centrale, sono ancora negli stessi luoghi, seppure trasformati dai vari restauri. Il monastero dopo la morte di papa Gregorio fu per un certo tempo abbandonato, ma papa Gregorio II, nella prima metà dell’VIII secolo, lo fece ripristinare. La chiesa e il monastero subirono un primo restauro a fundamentis e la riconsacrazione su iniziativa del papa Pasquale II, per riparare i danni apportati dal sacco di Roma, operato dalle soldatesche di Roberto il Guiscardo nel 1084. Nel 1130 la sua chiesa fu il luogo dell’elezione di papa Innocenzo II. L’abbazia fu data in commenda nei primi decenni del XV secolo e tale istituzione si rivelò alla lunga deleteria anche per il monastero fino a che, nel 1573, lo stato miserevole in cui era stata ridotta (soprattutto ad opera della famiglia dei Conti di Segni che si tramandarono il privilegio quasi ininterrottamente), spinse il papa Gregorio XIII ad affidarla all’Ordine Camaldolese che tutt’ora vi risiede.
I Camaldolesi iniziarono subito urgentissimi lavori di restauro e recupero dell’intero complesso dopo decenni di totale abbandono (l’ultimo restauro era stato dovuto all’iniziativa di un abbate e alla munificenza di papa Sisto IV negli anni 1475-80) e continue spoliazioni. A cominciare dal portico antistante la chiesa (quale oggi si vede, terminato nel 1577); il coro, di cui la chiesa era sprovvista (1577), una nuova sacrestia (1580 ca.) la cui parete di fondo fu ornata da una tela del senese Francesco Vanni raffigurante S. Michele Arcangelo nell’atto di scacciare il demonio (1579-80) nel programma di una nuova attenzione per la devozione dei defunti, seguendo una tradizione che risaliva allo stesso S. Gregorio. Oltre a questi importanti restauri i documenti dei monaci camaldolesi riportano anche note degli acquisti di preziosi paramenti, suppellettili, vasi ed altri arredi sacri presso i più importanti fornitori romani, (oggetti che subirono poi danneggiamenti e spoliazioni ad opera dei Francesi di Bonaparte).
Nel 1593 il papa Clemente VIII elesse nuovamente un nuovo abbate commendatario, nella persona del cardinale Antonio Maria Salviati. che apportò diverse modifiche all’insieme del complesso quali la costruzione della Cappella Salviati e l’ampliamento della piazza antistante e della scalinata. Il suo successore, il grande studioso cardinale Cesare Baronio, provvide innanzitutto al restauro del Triclinium e dell’Oratorio di S. Andrea ed alla costruzione ex novo di un oratorio dedicato a S. Silvia (madre di Gregorio). Fece eseguire grandi interventi anche nella chiesa, come ad esempio il rifacimento in marmo degli altari e del pavimento del presbiterio. Tutto documentato, anche con cenni critici, dalle Cronache dei PP. Camaldolesi. Vennero distrutte anche le vestigia dell’altare preesistente, l’altare di S. Gregorio. Nel 1607 il cardinale Scipione Borghese, succeduto al Baronio, provvide alla decorazione dei tre Oratori ed al rifacimento della facciata della chiesa.
Un ulteriore restauro si rese necessario nel XVIII secolo anche a seguito di terremoti.
A fine secolo un diverso “terremoto”, Napoleone Bonaparte, espulse i monaci dal monastero. Le truppe francesi dissacrarono, spogliarono e danneggiarono il complesso. Dopo 5 anni, nel 1803, i Camaldolesi rientrati nella loro casa constatarono i danneggiamenti e le spoliazioni, in particolare la tela dei Carracci sull’altare della Cappella Salviati e il prezioso bastone pastorale in avorio appartenuto, secondo tradizione, a San Gregorio, oltre ad arredi e preziose suppellettili; bruciati i mobili e gli stalli del coro nonché tutte le porte e le finestre del monastero; perdita di molta parte dei documenti del prezioso archivio (che fu poi quasi totale nel 1870). La tela andò definitivamente perduta in Inghilterra, in seguito all’ultimo conflitto mondiale, mentre il pastorale fu ricuperato e ritornò, in dono, ai monaci del Celio. La chiesa fu riaperta al culto nel 1803, mentre i lavori di restauro, voluti da papa Pio VII per riparare i danni operati dal Governo Francese, durarono quasi un decennio, fino alla riconsacrazione solenne del 1829 a cui partecipò anche il pontefice e di esiste una raffigurazione su una tela. Furono restaurati anche gli affreschi degli Oratori e del Triclinium Nel 1839 Gregorio XVI elevava la chiesa a titolo cardinalizio e faceva dono ai monaci di varie tele tutt’ora in sede.
Gregorio, della nobile famiglia dei Petroni Anici, dopo aver raggiunto la più alta carica civile in Roma di Praefectus Urbis, intorno al 575 lasciò la carica e si fece monaco a seguito di una conversione sofferta e meditata. Iniziò allora la trasformazione della casa paterna in cenobio. L’opera richiese tempo e notevoli modificazioni alla domus patricia. Nacque prima il monastero, per ospitarvi i primi monaci che si raccoglievano attorno a Gregorio e che utilizzavano il preesistente Oratorio di S. Andrea per i momenti di preghiera anche notturni, contemplati dalle regole ispirate molto probabilmente alla Regola di S. Benedetto (considerato che Gregorio fu il primo biografo del santo monaco). Presso l’Oratorio di S. Andrea c’era, e c’è ancora, un triclinium (ambiente tipico delle case patrizie romane) nel quale, secondo la tradizione S. Gregorio era solito invitare alla sua mensa 12 poveri. Per cui in seguito fu chiamato triclinium pauperum. Qui vicino si trovava l’antico fons mirabilis immo saluberrimus, dove secondo S. Pier Damiani, il santo soleva dissetarsi (oggi nel giardino a fianco della Cappella Salviati). Altro ambiente originario del VI secolo ed ancora oggi esistente (in fondo alla navata destra della chiesa) è il cosiddetto “lettuccio di S. Gregorio”, un piccolo ambiente dove egli era solito riposare disteso su una pietra. Un dipinto secentesco lo mostra in questa giacitura in abiti pontificali. L’ambiente, a seguito dei restauri settecenteschi fu trasformato in un’elegante celletta ed il giaciglio, quale preziosa reliquia, fu reso inaccessibile da una grata. La chiesa, che sembra sia stata costruita dopo la sua elezione al soglio pontificio (590), fu consacrata solennemente nel 595 e intitolata a S. Andrea. In essa quattro altari: il maggiore ospitava la sacra reliquia del braccio del Santo, ricevuta in dono durante il suo periodo di legato papale a Costantinopoli. Da questo monastero Gregorio, una volta divenuto papa, nell’ambito di un grande progetto di evangelizzazione dell’Europa, inviò Agostino (S. Agostino di Canterbury) con un manipolo di una quarantina di monaci presso i Britanni, alla corte del re del Kent.
La dedicazione a Sant’Andrea apostolo risulta fino dai primi documenti medievali, quando, dopo il 1000, appare dedicata a S. Gregorii Magni ad Clivum Scauri. Ma solo nel 1300, all’epoca di papa Bonifacio VIII, vi fu dedicato un altare a S. Gregorio Magno. Il termine «ad Clivum Scauri» è dovuto al fatto che l’antico Oratorio di S. Andrea aveva la fronte lungo la principale strada di accesso, che corre, ancora oggi con lo stesso nome, sull'antica pendenza (clivus in latino) dell’avvallamento tra il Palatino e il Celio. La chiesa diveniva la Domus orationis assai più facilmente raggiungibile dai dormitori ubicati sulla sua destra per la preghiera comunitaria diurna e notturna. Una fonte cinquecentesca ipotizza che l’area dove S. Gregorio fece costruire la chiesa fosse l’atrio della sua villa romana di cui furono riutilizzate le colonne. Il perimetro originario, nonostante i diversi restauri nel corso di oltre un millennio deve essere rimasto pressoché invariato. Anche il monastero, nonostante trasformazioni ed ampliamenti subiti nel tempo, è ancora quello ubicato alla destra della chiesa, anticamente a 2 piani con un chiostro al centro: il refettorio ed il chiostro interno con la cisterna centrale, sono ancora negli stessi luoghi, seppure trasformati dai vari restauri. Il monastero dopo la morte di papa Gregorio fu per un certo tempo abbandonato, ma papa Gregorio II, nella prima metà dell’VIII secolo, lo fece ripristinare. La chiesa e il monastero subirono un primo restauro a fundamentis e la riconsacrazione su iniziativa del papa Pasquale II, per riparare i danni apportati dal sacco di Roma, operato dalle soldatesche di Roberto il Guiscardo nel 1084. Nel 1130 la sua chiesa fu il luogo dell’elezione di papa Innocenzo II. L’abbazia fu data in commenda nei primi decenni del XV secolo e tale istituzione si rivelò alla lunga deleteria anche per il monastero fino a che, nel 1573, lo stato miserevole in cui era stata ridotta (soprattutto ad opera della famiglia dei Conti di Segni che si tramandarono il privilegio quasi ininterrottamente), spinse il papa Gregorio XIII ad affidarla all’Ordine Camaldolese che tutt’ora vi risiede.
I Camaldolesi iniziarono subito urgentissimi lavori di restauro e recupero dell’intero complesso dopo decenni di totale abbandono (l’ultimo restauro era stato dovuto all’iniziativa di un abbate e alla munificenza di papa Sisto IV negli anni 1475-80) e continue spoliazioni. A cominciare dal portico antistante la chiesa (quale oggi si vede, terminato nel 1577); il coro, di cui la chiesa era sprovvista (1577), una nuova sacrestia (1580 ca.) la cui parete di fondo fu ornata da una tela del senese Francesco Vanni raffigurante S. Michele Arcangelo nell’atto di scacciare il demonio (1579-80) nel programma di una nuova attenzione per la devozione dei defunti, seguendo una tradizione che risaliva allo stesso S. Gregorio. Oltre a questi importanti restauri i documenti dei monaci camaldolesi riportano anche note degli acquisti di preziosi paramenti, suppellettili, vasi ed altri arredi sacri presso i più importanti fornitori romani, (oggetti che subirono poi danneggiamenti e spoliazioni ad opera dei Francesi di Bonaparte).
Nel 1593 il papa Clemente VIII elesse nuovamente un nuovo abbate commendatario, nella persona del cardinale Antonio Maria Salviati. che apportò diverse modifiche all’insieme del complesso quali la costruzione della Cappella Salviati e l’ampliamento della piazza antistante e della scalinata. Il suo successore, il grande studioso cardinale Cesare Baronio, provvide innanzitutto al restauro del Triclinium e dell’Oratorio di S. Andrea ed alla costruzione ex novo di un oratorio dedicato a S. Silvia (madre di Gregorio). Fece eseguire grandi interventi anche nella chiesa, come ad esempio il rifacimento in marmo degli altari e del pavimento del presbiterio. Tutto documentato, anche con cenni critici, dalle Cronache dei PP. Camaldolesi. Vennero distrutte anche le vestigia dell’altare preesistente, l’altare di S. Gregorio. Nel 1607 il cardinale Scipione Borghese, succeduto al Baronio, provvide alla decorazione dei tre Oratori ed al rifacimento della facciata della chiesa.
Un ulteriore restauro si rese necessario nel XVIII secolo anche a seguito di terremoti.
A fine secolo un diverso “terremoto”, Napoleone Bonaparte, espulse i monaci dal monastero. Le truppe francesi dissacrarono, spogliarono e danneggiarono il complesso. Dopo 5 anni, nel 1803, i Camaldolesi rientrati nella loro casa constatarono i danneggiamenti e le spoliazioni, in particolare la tela dei Carracci sull’altare della Cappella Salviati e il prezioso bastone pastorale in avorio appartenuto, secondo tradizione, a San Gregorio, oltre ad arredi e preziose suppellettili; bruciati i mobili e gli stalli del coro nonché tutte le porte e le finestre del monastero; perdita di molta parte dei documenti del prezioso archivio (che fu poi quasi totale nel 1870). La tela andò definitivamente perduta in Inghilterra, in seguito all’ultimo conflitto mondiale, mentre il pastorale fu ricuperato e ritornò, in dono, ai monaci del Celio. La chiesa fu riaperta al culto nel 1803, mentre i lavori di restauro, voluti da papa Pio VII per riparare i danni operati dal Governo Francese, durarono quasi un decennio, fino alla riconsacrazione solenne del 1829 a cui partecipò anche il pontefice e di esiste una raffigurazione su una tela. Furono restaurati anche gli affreschi degli Oratori e del Triclinium Nel 1839 Gregorio XVI elevava la chiesa a titolo cardinalizio e faceva dono ai monaci di varie tele tutt’ora in sede.